
Georges Simenon
Il signor Cardinaud
“Lui non aveva ancora quindici anni e già l’amava. Non come si ama una donna, ma come si ama un essere inaccessibile. Come, al tempo della prima comunione, aveva amato la Madonna”. Alla fine Hubert Cardinaud è riuscito a sposarla, quella Marthe “di cui tutti dicevano che si dava delle arie”. Così com’è riuscito, lui, il figlio del cestaio, a diventare un distinto impiegato: uno che la domenica, all’uscita della messa, scambia saluti compunti e soddisfatti con i conoscenti e poi, dopo essersi fermato in pasticceria a comprare un dolce, torna a casa dove la moglie sta cuocendo l’arrosto con le patate. Una domenica, però, trova l’arrosto bruciato e la casa vuota e gli crolla il mondo addosso. Non gli ci vorrà molto per scoprire che Marthe se n’è andata con un poco di buono e che tutti in città lo sanno e lo compatiscono e pensano che sia un uomo “finito, annientato”. E invece no. Hubert decide di ritrovare Marthe a ogni costo, di bere “il calice fino alla feccia”.
Simile a “una formica ostinata che segue ostinatamente la sua strada, il suo destino e che, ogni volta che il carico le sfugge, lo afferra di nuovo, pur essendo quel carico più grosso di lei”, andrà a cercare Marthe perché il suo posto è lì, “accanto a lui e ai bambini”, e perché confida “nel trionfo del bene sul male, nella supremazia dell’ordine sul disordine”, “nell’inevitabile, fatale armonia”. Con la consueta acutezza psicologica, e una sorta di ammirata partecipazione, Simenon ci racconta di un amore eroico, capace di non indietreggiare di fronte al tradimento e alla vergogna.


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